UN NATALE… “SANTO”… TROPPO PIENO…
Possiamo, senza ombra di dubbio, dire ed affermare che questo Natale, come tanti
negli anni scorsi, è “troppo pieno”… ma di “Santo” c’è ben poco.
Quando venne al Mondo, il Signore Gesù ebbe come “Casa” una misera
stalla, in cui vi era una mangiatoia vuota, che era pronta ad accoglierLo.
Sì!
Vuota, perché la Madre, la Vergine Santissima, povera e in attesa del parto, la
preparò prima, formando una culla concava per poter adagiare il “frutto del
Suo Fiat”.
Come venne svuotata quella mangiatoia per accogliere il Redentore, così, anche
noi, dobbiamo svuotarci nell’animo per far posto al Figlio di Dio ed accoglierLo
dentro di noi.
Dobbiamo essere prima “culla” e, poi, “Tabernacolo”.
Questo Natale è “troppo pieno” di regali sotto l’albero, di tavole
imbandite al verosimile, di viaggi esotici nei mari di tutto il mondo, di
escursioni in montagna su campi da sci… ma anche di indifferenza nei confronti
di un Dio che rinnova la Sua nascita per colmare il vuoto di quella culla.
L’opulenza di questa Generazione di oggi non ha posto per poveri e per
emarginati, la sua “culla” non è concava, bensì è piatta: Gesù non riesce
ad essere ospitato, perché “scivolerebbe” nella più totale indifferenza
umana.
Giovanni Papini, lo scrittore, una volta convertitori al Cristianesimo, volle
mettere una frase in bocca al Signore e farGli dire: “Quando venni al Mondo,
trovai un popolo di ubriachi, ma, soprattutto di assetati…”.
Ubriachi di cose inconsistenti… assetati della vera fede che solo Lui, Sorgente
d’Amore e di Misericordia, poteva dare.
Il Mondo, che oggi ci appartiene, é talmente “troppo pieno” di cose senza
valore che ci fanno capire, sempre più, quanto siamo “vuoti” dentro,
poiché ci viene a mancare quella forza che genera la vita e le dona un
significato divino.
Questo Natale è talmente e paradossalmente “pieno”, che non sono riuscito
ad ascoltare se non pochissime melodie inneggianti la Nascita di un Dio fatto
uomo.
Non c’è più posto in noi per un Dio-Padre, un Dio-Fratello, un Dio-Salvatore,
eppure siamo “vuoti” dentro!
Madre Teresa di Calcutta ebbe a dire:
“Dovreste conoscere ciò che vuole dire povertà: forse la nostra gente ha molti beni materiali, forse ha tutto, ma credo che se guardiamo nelle nostre case… vediamo quanto è difficile trovare un sorriso e il sorriso è il principio dell’amore”.
San Gregorio Nazianzeno aggiunge:
“O fusione inaudita, o compenetrazione paradossale!
Colui che È, viene nel tempo; l’Increato si fa oggetto di creazione.
Colui che non ha dimensioni entra nel tempo e nello spazio e un’anima spirituale
si fa mediatrice tra la Divinità e la pesantezza della carne.
Colui che arricchisce, si fa povero e mendica la mia carne, perché io venga
arricchito della sua Divinità.
Lui, che è la pienezza, si svuota, si spoglia per un poco della sua Gloria,
perché io possa partecipare della Sua pienezza.
Quale ricchezza di bontà!
Quale immenso mistero mi avvolge!
Sono stato fatto partecipe dell’immagine di Dio e non ho saputo custodirla: ora,
Dio si rende partecipe della mia carne, sia per salvare l’immagine che mi aveva
data, sia per rendere immortale la mia carne.
Entra in comunione con noi, in un modo nuovo ancora più profondo del primo: con
chi un tempo condivise il bene, ora condivide il male; quest’ultima comunione è
ancora più degna di Dio e, per chi ha intelligenza, ancora più sublime”.
Il seguente racconto dei tre cedri ci potrebbe
insegnare qualcosa in più di quello che già conosciamo.
I TRE CEDRI
Racconta una vecchia leggenda che, nelle belle foreste del Libano, nacquero tre
cedri.
Come certamente sapete, i cedri impiegano molto tempo a crescere e questi alberi
trascorsero interi secoli, riflettendo sulla vita, la morte, la natura e gli
uomini.
Assistettero all’arrivo di una spedizione da Israele, inviata da Salomone e, più
tardi, videro la terra ricoprirsi di sangue, durante la guerra con gli Assiri.
Conobbero Gezabele e il Profeta Elia, mortali nemici.
Assistettero all’invenzione dell’alfabeto e s’incantarono a guardare le carovane
che passavano, piene di stoffe colorate.
Un bel giorno, si misero a conversare sul futuro.
“Dopo tutto quello che ho visto – disse il primo albero – vorrei
essere trasformato nel Trono del Re più potente della Terra”.
“A me piacerebbe far parte di qualcosa che trasformasse per sempre il Male in
Bene” – spiegò il secondo.
“Per parte mia, vorrei che gli uomini, tutte le volte che mi guardano,
pensassero a Dio” – fu la risposta del terzo.
Ma dopo un po’ di tempo, apparvero dei boscaioli e i cedri furono abbattuti e
caricati su una nave, per essere trasportati lontano.
Ciascuno di quegli alberi aveva un suo desiderio, ma la realtà non chiede mai
che cosa fare dei sogni.
Il primo albero servì per costruire un ricovero per gli animali e il legno
avanzato fu usato per contenere il fieno.
Il secondo albero diventò un tavolo molto semplice, che fu venduto ad un
commerciante di mobili.
E poiché il legno del terzo albero non trovò acquirenti, fu tagliato e
depositato nel magazzino di una grande città.
Infelici, gli alberi si lamentavano: “Il nostro legno era buono, ma nessuno
ha trovato il modo di usarlo per costruire qualcosa di bello!”.
Passò il tempo e, in una notte piena di stelle, una coppia di sposi, che non
riusciva a trovare un rifugio, dovette passare la notte nella stalla costruita
con il primo albero.
La moglie gemeva in preda ai dolori del parto e finì per dare alla luce, lì
stesso, suo figlio, che adagiò tra il fieno, nella mangiatoia di legno.
In quel momento, il primo albero capì che il suo sogno era stato esaudito: il
Bambino che era nato lì era il più Grande di tutti i Re mai apparsi sulla Terra.
Anni più tardi, in una casa modesta, alcuni uomini si sedettero attorno al
tavolo, costruito con il legno del secondo albero.
Uno di loro, prima che tutti incominciassero a mangiare, disse alcune parole sul
pane e sul vino che aveva davanti a sé.
E il secondo albero comprese che, in quel momento, non sosteneva solo un calice
e un pezzo di pane, ma l’Alleanza tra l’Uomo e Dio.
Il giorno seguente, prelevarono dal magazzino due pezzi del terzo cedro e li
unirono a forma di croce.
Lasciarono la croce buttata in un angolo e, alcune ore dopo, portarono un uomo
barbaramente ferito e lo inchiodarono al suo legno.
Preso dall’orrore, il cedro pianse la barbara eredità che la vita gli aveva
lasciato.
Prima che fossero trascorsi tre giorni, tuttavia, il terzo albero capì il suo
destino: l’Uomo, che era stato inchiodato al suo legno, era ora la Luce che
illuminava ogni cosa.
La Croce, che era stata costruita con il suo legno, non era più simbolo di una
tortura, ma si era trasformata in un simbolo di vittoria.
Come sempre avviene nei sogni, i tre cedri del Libano avevano visto compiersi le
sorti in cui speravano, anche se in modo diverso da come avevano immaginato.
In Cristo mio Re
Devis Dazzani